La storia di Breno
Breno, oggi come nel passato, deve la sua importanza al fatto di essere centro di servizi comprensoriali della Vallecamonica: e ciò per posizione geografica, oltre che per tradizione.
Alle spalle del presente, una lunga storia che si spinge fin nel Calcolitico, come hanno messo in luce recenti scoperte archeologiche effettuate sulla Collina del Castello.
Anche l’etimologia riporta ad origini assai lontane, sia che si assuma come radice il celtico “brig” (monte) oppure il cognome ugualmente celtico di “Brennos”, o la voce “briù” o “braè” (ponti o intrecciatura di pali a scopo difensivo) come nella Gallia.
“È perciò molto verosimile pensare ad una intelaiatura di pali, alla maniera gallica, tra la rupe del Castello e quella del Cerreto, onde precludere l’accesso alla vallata” [Ertani].
In questa direzione si colloca anche il nome della frazione di Astrio (Oahstre, il castium), “la più alta piazzaforte contro gli estranei[…]. Servì certamente contro i Romani al tempo di Augusto”.Certo è che le difese non furono sufficienti a contenere a lungo l’urto delle legioni romane ed anche Breno divenne parte della Provincia romana. Interessanti reperti del periodo preistorico e romano sono custoditi nel museo civico con sede nel Palazo della Cultura.
Recentemente, in località Spinera, è stato riportato alla luce un edificio religioso romano di proporzioni imponenti,verosimilmente costruito su un precedente edificio indigeno dedito al culto delle acque, posto tra la riva orientale del fiume Oglio e uno sperone roccioso ricco di grotte e sorgive. L’edificio di epoca Flavia, che ricalca il consueto schema dei santuari italici, presenta una parte posteriore chiusa e una anteriore aperta, forse provvista di colonnato. Nella cella principale una nicchia ospitava la statua del culto e un pregevole pavimento a mosaico, con decorazioni. L’edificio fu distrutto da un violento incendio, sicuramente intenzionale, attorno al V secolo d.C.. Il santuario è a tutt’oggi visibile al pubblico; attraverso una comoda strada che funge anche da pista ciclabile.
Nulla sappiamo dei secoli “bui” dell’alto medioevo. Prova induttiva, con qualche supporto archeologico della presenza longobarda, potrebbe essere la dedicazione a San Michele della cappella sulla Collina del Castello. Rimangono la controfacciata con una finestrella oblunga, sopra la quale campeggia la croce greca, l’impostazione laterale sinistra dell’abside con i segni di altre due finestrelle e le fondamenta del presbiterio, dapprima mono e poi triabsidale.
Le origini della cappella risalgono al secolo VIII. Nei secoli seguenti fu luogo di culto fino all’edificazione della chiesa di San Maurizio o forse di Sant’Antonio. Nel 774 Carlo Magno donava la Vallecamonica ai monaci di Tours. Pieni di torbide vicende, di vendette, di intrighi, di odi implacabili e di tregue, tanto facili quanto fragili, sono i secoli dell’età comunale e signorile.
Investiture e confini sono le cause principali di una litigiosità esasperata; ora sono le discese del Barbarossa a scatenare gli odi contro la nascente “signoria” dei Federici, della quale sono avversari tenaci i Ronchi, i Leoni e gli Alberzoni di Breno assieme ad altre “famiglie” della media valle: è solo l’inizio di una accesa rivalità che passerà alla storia sublimata nei bei nomi dei guelfi e dei ghibellini.
Se qualche interesse più generale è in gioco, esso riguarda il controllo della Valle e non le sorti del papato o dell’impero, e neppure l’autonomia da Brescia che finiva per essere un pretesto dannoso alle parti in lotta: tant’è che sarà proprio il Consiglio generale di Brescia
a chiedere l’intervento pacificatore di Maffeo Visconti, il cui lodo arbitrale, del 1291, sarà favorevole solo alla propria causa, stabilendovisi che il reggente della Valle fosse scelto dal duca di Milano e gradito naturalmente al comune di Brescia.
La Vallecamonica entra così nella “grande politica”. Di essa si interessa nel 1311 l’imperatore Arrigo VII, confermando a parole le concessioni autonomistiche rilasciate a suo tempo da Federico Barbarossa (il diploma si conserva presso la biblioteca comunale) e nominando nei fatti suo Vicario Cangrande della Scala.
I Visconti tornano all’assalto appena tramontata la “meteora” d’oltralpe, inutilmente sospirato anche da Dante Alighieri. Il dominio visconteo (legato ai nomi di Bernabò, Gian Galeazzo, Giovan Maria e Filippo) avrà termine con la pace di Ferrara, nel 1428, che sancisce la conclusione del conflitto fra Milano e Venezia. D’ora innanzi, salvo una breve parentesi francese, la Vallecamonica diverrà una “scolta” della Repubblica veneta e Breno ne sarà la capitale amministrativa.
I conflitti di ordine sociale tra nobili e “vicini” dei secoli precedenti trovano equilibrio e composizione nel saggio governo veneto che sa conciliare la ragion di stato con le ragioni dell’autonomia locale. Breno diventa sede dei “governo” valligiano, affidato ad un Capitano, un Vicario e ad una serie di Consigli generali e speciali, sì da legittimare un vero proprio pluralismo istituzionale.
Il “prelibato dominio veneto” ha termine con l’arrivo dei francesi di Napoleone, sul finire dei secolo XVIII. Sembra che in un primo tempo la Vallecamonica abbia mostrato fervida lealtà verso Venezia. “Ed anche la Vallecamonica serbava all’antica Repubblica sua fede”, scrive l’Odorici. Ma, a parte qualche arresto tra i più accesi sostenitori di Venezia, con l’arrivo del conte Emili a Breno (nell’aprile del 1797), quale capitano del popolo sovrano di Brescia, si può considerare chiuso definitivamente il periodo della dominazione veneta.
La provincia di Brescia viene divisa in dieci cantoni uno dei quali, con il titolo di “Montagna”, è la Vallecamonica con centro a Breno.
I cantoni a loro volta sono suddivisi in comuni o “municipalità” che in valle furono Pisogne, Darfo, Borno, Breno, Bienno, Capo di Ponte, Cedegolo, Edolo, Ponte di Legno. Alla fine del 1797 la Repubblica Bresciana è incorporata da Napoleone alla Cisalpina: la Vallecamonica con la Valtellina forma il dipartimento dell’Adda e dell’Oglio con capoluogo prima a Sondrio e poi a Morbegno.
Tale dipartimento è di nuovo modificato nel 1801: la Vallecamonica, ovvero il distretto di Breno, va a formare il dipartimento del Serio o di Bergamo e sotto Bergamo rimarrà fino all’ottobre del 1859.
Di Breno, nelle varie fasi del Risorgimento italiano, ha dato dettagliato resoconto il prof. Fortunato Canevali in un libro prezioso di notizie, di dati e di fotografie. La cultura risorgimentale s’è fatta particolarmente sentire nelle sue componenti
“garibaldina” e “popolare” e saranno queste medesime a guidare la ricostruzione del secondo dopoguerra, attuando un intenso programma di opere civili e sociali.